Pinacoteca Alberto Martini ** Le sale espositive della Pinacoteca ospitano attualmente la mostra temporanea Le Storie Straordinarie. Alberto Martini ed Edgar Allan Poe **
L’uomo e l’artista sono il filo conduttore dell’esposizione della Pinacoteca Alberto Martini allestita all’ultimo piano di Palazzo Foscolo.
La raccolta d’arte è proposta in un percorso coinvolgente, in grado di favorire la lettura delle opere insieme alla loro conservazione, grazie al percorso a leggio in vetro e cristallo.
Presso la Pinacoteca è conservato inoltre il prezioso e inedito archivio personale di Alberto Martini (AMART), una parte del quale illustrato nel salone principale della galleria, nella lunga teca centrale. Qui documenti e lettere personali (tra le quali, ad esempio, le testimonianze di stima ed amicizia di Émile Bernard, le innumerevoli pubblicazioni prestigiose cui l’artista collaborò quale illustratore) ma anche i colori a pastello ed olio provenienti dallo studio parigino, e l’ultima opera nota rimasta incompiuta, offrono un piccolo spaccato della complessa attività creativa e della ricchezza delle relazioni internazionali intessute dall’artista nel corso della sua carriera.
Pinacoteca Alberto Martini
Esposizioni
Una visita spirituale domina la mia immaginazione: la visione di Dio come luce e di Lucifero come materia
L’Autoritratto (1911), opera grafica e pittorica emblema dell’estetica spiritualista martiniana, ci accoglie nel salone d’ingresso. Il dipinto, di grandi dimensioni, eseguito con incredibile perizia su carta telata a penna di china molto sottile e tracce d’acquerello, è anche l’opera-simbolo della Pinacoteca.
La bipolarità del bianco e nero è risolta in una evidente trasgressione in nome del processo creativo – sinonimo di quello alchemico – tra vita e morte, sogno e veglia, spirito e materia secondo le istanze della cultura europea decadentista.
Il modo in cui il pittore si ritrae e gli oggetti di cui si circonda mettono a nudo la sua identità d’artista-demiurgo-creatore magico, genio inventore cui è dato conoscere il mistero dell’uomo e dal nulla delle tenebre fare nascere il mondo nuovo dell’arte. Martini infatti è quasi completamente avvolto dall’oscurità, tranne nel viso, curato, immobile e scrutatore; nella mano, protagonista della creazione artistica; e nei libri aperti al suo fianco tra i quali si intravedono riproduzioni di alcune sue opere. Anche le sembianze in cui l’artista si immortala, l’eleganza e la raffinatezza dell’abbigliamento, e l’allusione ai luoghi abituali delle sue frequentazioni – una Venezia inedita, città decadente per eccellenza, si apre sotto un’eclissi di luna tra le trine della finestra sullo sfondo – evidenziano un certo gusto ancora una volta tipicamente narcisistico e decadente.
Accanto all’Autoritratto è posta La finestra di Psiche nella casa del Poeta (1954), opera disegnata e dipinta (forse per escludere qualsiasi priorità di un mezzo espressivo sull’altro) che conclude degnamente l’avventura artistica dell’opitergino riproponendo insieme le immagini simboliste e iniziatiche degli esordi e i più tardi riferimenti surrealisti.
Tenue e trasparente è invece il tono degli oli, cerebrali e peculiarmente surreali, degli anni ’30, quando, trasferitosi a Parigi, Martini vive un momento nuovamente fecondo della sua attività creativa elaborando le opere “alla maniera chiara”: vi appartengono Métempsycose plastique (1930), Amore (1930) e Aurora paesaggio universale (1932), qui esposte.
Martini le definisce “pitture coi colori del cielo”, ovvero con “…i colori eterni, con le gamme dell’infinito” la cui composizione è frutto “… di una lunga, intensa elaborazione formale, malgrado lo stato di veggenza e di spontaneità creativa.” Opere, ancora, intese quali “misteri non rivelati”, contraddistinte da delicatissime tonalità neutre chiuse entro spazi definiti dalla linea, a suggerire effetti di solidità plastiche quasi tattili.
Sembianti umani, maschili e femminili, paesaggi desertici, germinazioni vegetali animate contraddistinguono queste opere ascrivibili alla serie “ectoplastica” e “psicoplastica” martiniana, ispirate al tema dell’amore umano rivisto alla luce delle teosofie antiche – riprese dal Simbolismo tardo-ottocentesco – sulla trasmigrazione delle anime in altre sostanze corporee.
I primi lavori di Alberto Martini esposti nelle Sale 2 e 3 riguardano il ciclo illustrativo a soggetto letterario: la Divina Commedia di Dante Alighieri (1901, 1922, 1936-37,1944), cui l’artista dedicherà oltre quarant’anni di appassionata riflessione attraverso schizzi, disegni, guazzi e incisioni è attualmente il fondo grafico più corposo dell’artista, conservato a Oderzo. Si tratta infatti di 298 opere sviluppate nel corso dell’intera carriera, testimonianza del graduale passaggio da un segno ancora flessuoso e liberty, ma di chiara ascendenza simbolista, alle successive declinazioni astrattive espressioniste; l’evoluzione poetica e stilistica martiniana risulta chiaramente leggibile proprio nel confronto delle tavole realizzate nei diversi periodi.
Alle iniziali trenta opere donate dalla vedova Maria Petringa si sono infatti aggiunte di recente altre 268, acquisite dai discendenti e pubblicate nel prestigioso volume La Divina Commedia illustrata da Alberto Martini (Mondadori Arte 2008). I 29 disegni più antichi, realizzati nel 1901 e portati a diversi gradi di definizione, uniscono al valore estetico critico anche quello storico documentale: in diversi casi, infatti, la versione definitiva, acquerellata, è andata dispersa.
Dal punto di vista stilistico, Martini si qualifica quale vero grande interprete del poema dantesco, capace di rileggerne l’opera restituendone i singoli episodi attraverso un segno espressionista all’interno di uno spazio peculiarmente sintetico e visionario.
D’altra parte, ritornerà in molte occasioni sull’opera dell’Alighieri, dichiarandosene profondo estimatore: “Tre volte, nella mia vita, seguii religiosamente il Divino Poeta attraverso i tre mondi … Il Poema Sacro mi fu sempre di grande conforto, a volte mi placò e visse paradisiaco o infernale nei miei sogni”. Una diuturna elaborazione dunque, la sua, ben diversa dall’occasionale pretesto di altri illustratori, tant’è vero che, in Forese, la splendida litografia che conclude il ciclo esposto in Pinacoteca, è forse rintracciabile un inquietante autoritratto dell’artista (1922).
I lavori realizzati tra il 1936 e il 1944 riportano in alcuni casi chiaramente la data sul recto o sul verso, altri ne sono privi. Di ogni Canto si possono individuare tavole che formano gruppi omogenei. Un numero consistente di opere è caratterizzato dal nero acquerellato dei fondali sui quali si avvicendano protagonisti e contesto, riportando ognuna i versi illustrati a margine del disegno, come già era avvenuto in precedenza, oppure all’interno dell’immagine stessa. La rappresentazione della maggior parte delle opere di questo gruppo si propone alla maniera araldica, ricordando talora testi e immagini di chiara derivazione medievale, per una evidente scelta illustrativa atemporale e distaccata, rivolta soprattutto all’idea, in linea con la propria poetica surreale.
Tre volte, nella mia vita, seguii religiosamente il Divino Poeta attraverso i tre mondi ... Il Poema Sacro mi fu sempre di grande conforto, a volte mi placò e visse paradisiaco o infernale nei miei sogni"(da Incubo Dantesco, in Vita d'artista di A. Martini)
Il ciclo dantesco martiniano consente di cogliere insieme alla perizia esecutiva dell’artista – che quasi mai cede a ripensamenti mentre disegna, scegliendo di rappresentare i singoli episodi in uno spazio grafico talvolta solo accennato, eppure già risolto nei suoi esiti formali – una scelta espressiva sintetica e visionaria in grado di soddisfare completamente una reale interpretazione, e non la mera illustrazione, del capolavoro di Dante.
Se l'arte antica ... non fosse stata a suo tempo nuova, non sarebbe diventata antica e venerabile" (da La prova suprema. Pena capitale Vita d'artista di A. Martini)
La Secchia Rapita di A. Tassoni (1895-1903, ripresa nel 1935), di cui Martini realizzerà 242 tavole (di cui 68 conservate presso la Pinacoteca) a penna di china è ospitata nella sala 4. I raffinati lavori de La Secchia rapita mostrano l’iniziale orientamento dell’artista verso fonti di gusto medievale e cavalleresco-popolare, pur se scanzonate e ironiche, per la sua vocazione congenita tesa a cogliere nel realismo letterario l’incidenza del paradosso nel quotidiano. Così, il segno scelto da Martini dettaglia analiticamente il vero ma è contraddistinto dal forte contrasto di luci e ombre per deformare la verosimiglianza in direzione antinaturalistica.
Il bianco e nero / lunatico nottambulo /luce e deserte tenebre / tutti i colori trasfigura
La Sala 5 espone le opere a china ispirate ai Racconti di E. A. Poe (1905-09). Una notevole raffinatezza tecnica accomuna queste tavole, dove la penna “… è, a seconda dei casi, forte come un bulino e leggera come una piuma.” I passaggi dal bianco al nero, la modellazione delle carni, dei veli, dei velluti, dei capelli, dell’acqua della luce e del fuoco sono ottenuti con una finissima tessitura di tratti, elaborati, ancora e sempre “… con la penna riversata, poi punteggiando e infine ritoccando con la punta d’acciaio ….”.
Quelle dedicate a Poe sono, infine, opere preziosamente raffinate, intrise di un cupo mistero fantastico che ben rappresenta quell’estetica della visionarietà e dello spaesamento che presto porteranno Martini al surrealismo.
Accanto a queste, opere tardosimboliste particolarmente interessanti perché precorritrici dell’arte surreale martiniana: i drammatici Misteri del 1914 e 1915, divisi in sei tavole dedicate a temi esistenziali (Amore, Morte, Infinito, Follia, Sogno, Nascita) editi dalla casa editrice Bottega di Poesia nel 1923 con il commento di Emanuele di Castelbarco; l’Autoritratto-biglietto da visita, del 1914, e Felina, la farfalla con corpo femminile, metafora dell’anima artistica martiniana, del 1915.
La Sala 6 ospita il colore, come nel sorprendente pastello presurrealista Il Serpente(1916); più pacato, come nel ritratto della moglie Maria Petringa (1924-28), elaborati in una sorta di ritorno all’ordine secondo i canoni estetizzanti dell’epoca.
Sono poi rappresentati i cicli illustrativi del periodo milanese (1934-1954), tra cui la Vita di Cristo (1943), e la Vita della Vergine (1945) tratta da R.M. Rilke.
Socrate ... ammoniva quanto sia imprudente avere nemici i poeti, perchè possedevano virtù grandissima nel lodare come nel biasimare
Il modello del Tetiteatro, realizzato in occasione dell’esposizione Disciplina e Trasfigurazione. Alberto Martini e il Teatro, svoltasi alla Scala di Milano (1992), campeggia nella sala VII, accanto ad una selezione dei molti studi che l’artista dedica a questo soggetto, compresi i relativi progetti tetiscenografici. Risale al 1923 l’invenzione di “… Un architettonico teatro terraqueo, uno strumento gigante per le risonanze di una nuova voce e per nuove plastiche teatrali. […] praticabile e luminoso, solido, liquido, igneo, elettrico …” (Alberto Martini, “Vita d’artista”, 1939-40).
Martini concepisce Il Tetiteatro come un’opera totale nella globalità degli accadimenti fisici e psichici, in cui realtà e mito si intrecciano indissolubilmente, e questo grazie a una nuova funzione della scenografia stessa che, da elemento di complementarietà tradizionale, assume il valore di coprotagonista con la medesima azione drammatica. Il Tetiteatro è un’opera aperta che individua nella sua relazione con l’acqua il suo punto di forza innovativo e rivoluzionario. Martini crede infatti nell’integrazione delle arti tutte attraverso la sublimazione degli elementi primigeni di wagneriana memoria: appunto, acqua, ferro e fuoco. Nascono così progetti per allestimenti dedicati a Eschilo, Shakespeare, Beethoven, Wagner, d’Annunzio, Maeterlinck. Molto più tarde (1946) sono le Maschere dipinte a tempera su cartone e realizzate a scala reale, che confermano, comunque, il costante interesse martiniano per il mondo del teatro.
Prestigioso ciclo di 54 cartoline sulla Prima Guerra Mondiale realizzate tra il 1914 e il 1916.
Il 1 novembre 2008 è stata inaugurata la sezione dedicata al ciclo “La danza macabra europea”, preziosa serie di 54 cartoline sulla Prima Guerra Mondiale realizzate dall’artista tra il 1914 e il 1916 e oggi conservate nella Pinacoteca Alberto Martini.
La serie evidenzia le fasi iniziali del conflitto, e la sua dimensione propriamente europea, proponendo una lettura degli eventi bellici spiccatamente satirica ed espressionista.
Le cartoline ebbero un’enorme diffusione anche e soprattutto sui fronti della Guerra e nel pubblico europeo antigermanico. Molti furono gli elogi che l’artista ricevette proprio in merito al suo lavoro (tra gli altri, quelli dello scultore Rodin e del pittore e saggista Émile Bernard).
Si tratta di esemplari costituenti una serie completa di minuziose e affascinanti litografie ideate da Martini e stampate dalla Litografia Longo di Treviso. La serie racconta la Prima Guerra Mondiale combattuta sul fronte occidentale, tema reso efficacemente dal maestro opitergino che ne interpreta vicende e intrighi politici sulla falsariga delle antiche danze macabre.
Il corpus si compone di 5 serie:
1ª serie – 12 litografie numerate in margine dall’1 al 12
2ª serie – 12 litografie numerate in margine dal 13 al 24
3ª serie – 12 litografie numerate in margine dal 25 al 36
4ª serie – 6 litografie numerate in margine dal 37 al 42
5ª serie – 12 litografie numerate in margine dal 43 al 54
L’artista sarebbe stato tenuto, da contratto, ad eseguire 36 litografie, alle quali si aggiungono le rimanenti grazie all’imprevedibile successo ottenuto dalle prime stampe, tutte disegnate in successione sulla stessa pietra e realizzate dall’editore Domenico Longo di Treviso. La litografia Avanti Italia, insieme alle immagini che compongono l’opera sono le uniche litografie a colori tirate dall’autore.
A seguito dell’esposizione I Pittori Opitergini della Pinacoteca (1995), è nata la Galleria dedicata ai più significativi artisti nati o attivi a Oderzo. La Galleria è situata al piano terra di Palazzo Foscolo. Dal 2008, in seguito ad ulteriori arricchimenti di opere, la sezione assume la denominazione di GAMCO – Galleria Arte Moderna e Contemporanea Oderzo.
Trattandosi di autori di generazioni ed espressività diverse, l’esposizione si propone di offrire una lettura il più possibile completa, pur nell’estrema diversità delle singole personalità e dei linguaggi scelti, della pittura veneta di fine Ottocento e Novecentesca.
Tra gli altri, viene documentata l’attività ancora naturalistico-accademica di fine Ottocento di Giuseppe Vizzotto Alberti (1862-1931), pittore e raffinato decoratore d’interni, e del fratello Enrico (1880-1976). Allineato ad una pittura ancora realista tipicamente veneta, è anche Giulio Ettore Erler (1876-1964). Più vicini a tendenze fauve, quanto meno nelle scelte cromatiche, sono invece i due fratelli Ciro ed Eugenio Cristofoletti (1901-1973; 1912-1981). Peculiare e profondamente originale è poi il segno di Armando Buso (1914-1975), pittore, incisore, ma soprattutto abile disegnatore della quotidianità, restituita sempre con forza di sintesi e poesia.
La pittura intensa e vibrante di Gina Roma evidenzia la peculiarità del suo discorso pittorico, sempre strettamente autobiografico, che, agli esordi tonali sostituisce una cromaticità “pulsante”, espressionista, nelle opere più recenti.
Tullio Vietri (1927) coglie l’uomo nel suo congestionato spazio urbano traducendone il malessere, non solo ideologico; mentre Arturo Benvenuti (1923) unisce segno e colore creando “un metalinguaggio simbolico” capace di caratterizzare forme dall’intensa vibrazione emotiva e poetica. A questi autori sono stati poi aggiunti lavori pittorici di artisti entrati nella collezione a partire dagli anni Novanta (tra i quali Franca Faccin, Morago).
La Galleria si compone, inoltre, dei lavori grafici di artisti italiani e stranieri ottenuti grazie alle Biennali Nazionali di Incisione Alberto Martini.
La sfida del vetro
Nella Murano degli anni Cinquanta l’arte del vetro è imbrigliata in una tradizione ormai superata, anche se nelle aziende più sensibili, già dagli anni ’20 si stava realizzando un rinnovamento attraverso il design. Egidio Costantini ambisce al mondo dell’arte. Il suo progetto considera il vetro come un nuovo medium per la scultura contemporanea. Vetro e fuoco sono però elementi difficili; necessitano di artigiani esperti per ottenere l’alchimia perfetta della materia fusa che l’artista, da solo, non può raggiungere. Il bozzetto dell’opera diventa così il punto di partenza per immaginare forme e colori che Costantini aiuta a tradurre nelle trasparenze del vetro, proponendosi come intermediario tra i maestri vetrai, la loro perizia tecnica e le esigenze degli artisti.
La Fucina degli Angeli
La Fucina degli Angeli, fondata da Egidio Costantini nel 1955, rappresenta il fulcro delle sperimentazioni con Picasso, Ernst, Chagall, Kokoschka, Fontana, Cocteau, Arp e molti altri artisti. Nel 1961 l’avventura rischia di terminare e, invece, continua grazie all’aiuto di Peggy Guggenheim, che ospita un’esposizione nel suo Palazzo dei Leoni nel ’64 e favorisce quella al MoMA di New York nel ’65. Nel giugno del 1966 si inaugurano a Venezia i nuovi spazi della Fucina degli Angeli, ma l’alluvione di novembre distrugge disegni e opere. Costantini riesce ancora una volta a riprendere l’attività e da allora è un susseguirsi di relazioni, esposizioni e collaborazioni con artisti di tutto il mondo.
La Collezione Attilia Zava
Nel 2011 Attilia Zava dona al Comune di Oderzo, suo luogo natio, la propria collezione composta da trenta sculture in vetro e un gruppo di altrettanti disegni, stampe e dipinti. Fondazione Oderzo Cultura onora tale patrimonio con l’istituzione della Collezione Attilia Zava – Museo del vetro d’artista.
L’esposizione presenta opere di Arman, Jean Arp, Marc Chagall, Jean Cocteau, Egidio Costantini, Luciano Dall’Acqua, Raymon Dauphin, Max Ernst, Amerigo Lucchetti, Mario Lupo, Pablo Picasso, Giuseppe Rossicone, Reuven Rubin, Robert Scherer, Mark Tobey, Vanni Viviani.